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Il vincitore del Premio Campiello 2010

Questa sera 4 settembre 2010 è stato annunciato il vincitore del Premio Campiello 2010, giunto alla sua 48. edizione: è  Michela Murgia con Accabadora.

I cinque finalisti erano:

Gianrico Carofiglio con “Le perfezioni provvisorie” (Sellerio)

Gad Lerner con “Scintille. Una storia di anime vagabonde” (Feltrinelli)

Michela Murgia con “Accabadora” (Einaudi)

Laura Pariani con “Milano è una selva oscura” (Einaudi)

Antonio Pennacchi con “Canale Mussolini” (Mondadori)

La Murgia si è aggiudicata il premio con 119 voti, contro i 73 di Pennacchi, i 62 di Carofiglio, i 21 voti di Gad Lerner e i 13 di Laura Pariani.

L’autrice e il romanzo

Michela Murgia

Michela Murgia è nata a in Sardegna a Cabras nel 1972.

Nel 2006 ha pubblicato per la ISBN edizioni Il Mondo deve sapere, il diario tragicomico di un mese di lavoro alla Kirby. Nel 2007 ha collaborato alla stesura del soggetto e della sceneggiatura cinematografica del film Tutta la vita davanti, ispirato al libro.

Nel 2007 ha scritto per l’antologia sull’identintà sarda Cartas de Logu, curata da Giulio Angioni e edita dalla CUEC.

Nel 2008 è uscito per i Tascabili Einaudi “Viaggio in Sardegna – undici percorsi nell’isola che non si vede“, una guida narrativa per perdersi in Sardegna inserito nella collana Geografie. Nello stesso anno ha scritto anche “Altre Madri” per l’antologia “Questo terribile intricato mondo“, insieme ai contributi di Asor Rosa, Rosetta Loy, Marcello Fois, Walter Siti e Diego De Silva.

Nel 2009 per Einaudi ha pubblicato Accabadora, con cui ha vinto il premio Dessì e il Premio Mondello.

Il Premio Campiello Opera Prima era stato assegnato a Silvia Avallone per il suo romanzo Acciaio con la seguente motivazione:

“Acciaio” è il romanzo di molteplici transizioni incompiute: dalla società industriale a quella postindustriale, dal proletariato alla piccola borghesia, dall’Italia tradizionale a quella postmoderna, dalla gregarietà femminile all’emancipazione, dall’adolescenza alla giovinezza.

Il romanzo si colloca nell’intersezione di tutti questi mutamenti e li trasforma da sociologici in letterari attraverso lo sguardo sempre meno disincantato di due ragazzine costrette dalla vita a trasformare l’amicizia in competizione.

La company town che fa da sfondo alla vicenda è un impasto di rudezza e di grazia, di vita sprecata e di vita disperata, dove il ritmo dei singoli, delle famiglie, della città, è sincronizzato sul ritmo della fabbrica e dove la polvere della ghisa esce incessante dalle ciminiere per coprire con uguale grigiore i tetti, le strade, le persone e gli stati d’animo.

In un quartiere operaio, che ha perso la coscienza e l’orgoglio di classe senza trovare una nuova coesione sociale, Anna e Francesca cercano la loro strada e i mezzi per percorrerla.

Le loro piccole gioie, le loro piccole delusioni, il progredire e l’arretrare della loro amicizia sono trasformate da Silvia Avallone in una indimenticabile metafora della ricerca di identità che oggi tutti coinvolge.

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